L’APPELLO del Vescovo CALDEO di Beirut S.E.R. Mons.MICHEL KASSARJI
Monsignor Michel Kassarji è diventato vescovo della piccola comunità dei cattolici di rito caldeo di Beirut nel gennaio del 2001.
Prima del disastro delle torri gemelle a New York, e prima della guerra contro l’Irak di Saddam Hussein. Praticamente, un’era geologica fa. Il suo gregge di circa 5’000 persone era una delle tante componenti del panorama religioso libanese, ed essendo minoranza nella minoranza, non aveva neppure la fastidiosa rilevanza politica che avrebbe potuto disturbare la tranquilla attività pastorale del nuovo, giovane vescovo appena 44enne. Ma la storia ha fatto il noto balzo, e si è sentito fino a Beirut, e la grandezza di Mons. Kassarji è quella di non aver esitato ad allargare la sua tenda per accogliere un popolo in fuga. Si tratta di fatti abbastanza recenti però, perché inizialmente l’attacco americano in Irak, nel marzo 2003, non ha avuto alcuna risonanza nel resto del Medioriente, abituato a episodi bellici ricorrenti. Ma la seconda metà del 2006 e la prima del 2007 hanno visto milioni di irakeni invadere Giordania, Siria e Libano. L’ONU ne conta quasi quattro milioni e mezzo. Fuggivano. Fuggivano da cosa? Dalla guerra, certo, ma esistono cose peggiori della guerra, che pure era stata sopportata fino allora. Cosa? Sono le squadracce, sunnite, sciite, di qualunque denominazione, che negli spazi lasciati liberi dagli eserciti si propagano e godono di un piccolo, ma devastante potere. Forse sarà stata la guerra a scacciare i milioni di irakeni, ma non certo gli irakeni cristiani, perché per questi sono state invece le azioni mirate, le telefonate notturne, le minacce reiterate, i segnali mafiosi lasciati davanti alle abitazioni, gli incendi dei magazzini, dei negozi, degli ambulatori, le minacce alle donne non velate, e a volte il passaggio brutalmente all’atto nei loro confronti, il rapimento dei figli, l’uccisione dei congiunti. Il tutto intrapreso a scopo intimidatorio, perché si convincessero che, per loro, in Irak non c’è più alcuna possibilità di vita. Quando sono cominciate le uccisioni dei preti, quella di padre Paul Iskander nell’ottobre 2006 e quella di padre Ragheed Ganni nel giugno 2007, è stata data la stura al pogrom, che setacciando le città casa per casa ha costretto a fuggire prima dai loro quartieri, poi dalle loro città e infine dal loro paese i milioni di irakeni sfollati, e fra questi ad essere presi di mira in modo particolare sono stati i cristiani. Le milizie sunnite e sciite si accordano infatti nello scacciare, oltre ai loro reciproci oppositori, proprio i cristiani. Dora, uno dei quartieri di Baghdad storicamente abitato da cristiani, per le molte chiese che vi sorgevano e per il Babel College, l’unica facoltà teologica cristiana di tutto il paese che vi aveva sede, è oggi completamente in mano alle milizie musulmane. Il Babel College ha riaperto i battenti nel gennaio scorso nel nord dell’Irak. In realtà, quelli che sono chiamati con una certa stanchezza “episodi di pulizia etnica” lasciando nel vago quale sia l’etnia che ne è vittima, sono l’efficace e pianificato strumento per cacciare dall’Irak tutti i cristiani. Questi spesso non possono neppure vendere la loro casa o il negozio perché è già stato requisito o distrutto dalle squadracce. E così con i pochi soldi risparmiati, tutta la famiglia passa fortunosamente la frontiera con la Siria e – doppiamente straniero perché cristiano in terra islamica –, non ha altro, se ce l’ha, che un visto turistico di tre mesi. A raggiungere il Libano sono i fortunati, perché qui l’aiuto della Chiesa ha potuto essere organizzato. Oltre al sostentamento fisico e i primi soccorsi, questa è attualmente la grande battaglia di Mons. Michel Kassarji: far riconoscere lo statuto di rifugiati a questi disperati. E riuscire a farlo in Libano, il paese scottato dall’esperienza di più di cinquant’anni di campi profughi palestinesi, non è una passeggiata. Senza il riconoscimento dello statuto di rifugiati, da parte dei paesi ospitanti o delle Nazioni Unite, gli sfollati restano completamente privi di qualunque protezione giuridica. Trascorsi i tre mesi del visto turistico sono costretti a scomparire nella clandestinità. Dal punto di vista della legge, in qualunque momento potrebbero venire incarcerati, o rimpatriati perché sprovvisti del permesso di residenza. Che Libano, Siria e Giordania fingano di non vedere questa migrazione e che il rigore con cui la legge viene applicato sia nullo, non contribuisce affatto alla sicurezza degli irakeni. L’unica loro speranza è riuscire ad arrivare in Europa, in Canada, in Australia, dove magari qualche parente ha già messo radice. In queste condizioni, di permesso di lavoro non si può neppure parlare, non ne vengono certo concessi a dei turisti. Così durante la permanenza obbligata in Giordania, Siria e Libano, il mercato nero si apre ad accogliere i fuggitivi che non hanno alcuna alternativa se non quella di accettare le sue condizioni. Così come non si parla neppure di cure mediche o di scuole per i bambini, che anzi spesso sono gli unici a riuscire a portare a casa qualche soldo per mantenere tutta la famiglia. Monsignor Kassirji a Beirut ha organizzato una scuola serale per i ragazzi costretti a lavorare, i quali, eroicamente, la frequentano.La situazione senza uscita dei rifugiati cristiani dell’Irak non viene citata fra le situazioni di crisi umanitaria attualmente aperte nel mondo. I paesi ospitanti si guardano bene dal focalizzare sia la propria attenzione sia quella della comunità internazionale su questa vicenda, che pure non è affatto di dimensioni ridotte.Solo grazie ai reportage di Rodolfo Casadei pubblicati sul settimanale italiano Tempi dall’inizio dell’estate 2007, le testimonianze di alcune fra le 2000 famiglie irakene accolte dalla comunità caldea di Beirut hanno potuto giungere fino a noi. I testi sono disponibili sul sito di Tempi: http://www.tempi.it.Scriveva Casadei sull’edizione del 14 giugno 2007: “A Monsignor Kassarji sta molto a cuore un grande progetto a vantaggio dei profughi irakeni: “Non lontano dalla mia sede c’è una struttura dei protestanti in vendita. Se potessimo acquistarla, lì concentreremmo tutte le attività per i profughi irakeni ora sparse in vari luoghi: catechismo, gruppi giovanili , scuola e doposcuola, distribuzione aiuti eccetera. Costa un milione e 300 mila dollari. Chi ha a cuore il destino dei cristiani in Medio Oriente è avvisato.”
Chyah Branch – Beirut – Lebanon; Swift Code: CBCBLBBE;
N°: 80345;
Name: MM.EVECHECHALDEEN De Beyrouth.